Che i social network e, più in generale i social media, arricchiscano la democrazia e in una qualche maniera la completino non è in discussione. I nuovi media, infatti, permettono ai cittadini di commentare, e dunque influire (quantomeno in parte), sulle scelte degli amministratori. Inoltre permettono a quest’ultimi di conoscere l’opinione dell’elettorato e reagire di conseguenza.
Tuttavia, è un altro quesito che si affaccia alla mente. I social media e i social network agevolano o no la vita dei politici? A primo acchito, è lecito rispondere che peggiorano sicuramente la vita dei politici ‘cattivi’, in quanto i nuovi media impongono trasparenza a chi governa proprio perché il potere di controllo dei cittadini aumenta. Ma, stando alle lamentele che giungono da alcuni degli amministratori locali più potenti del pianeta, peggiorano la vita anche ai politici che semplicemente vorrebbero fare il proprio mestiere.
La voce a levarsi contro il ‘mondo dei social network’ è quella, autorevole, del sindaco di New York, Michael Bloomberg, nonché imprenditore nel settore delle news finanziarie. A fine marzo ha infatti lamentato: “Sono soffocato dai social network che non mi lasciano lavorare”. Quale impedimento pongono i social network all’operato di un politico?
E’ proprio questo il succo del discorso politici-social media. Ma è anche il succo di un discorso radicato lontano nel tempo, e precisamente in un tempo in cui non esistevano i media digitalii ma nel quale si parlava del concetto di democrazia, dei suoi pregi e dei suoi difetti. Il problema, alla fin fine, è sempre lo stesso: la democrazia, all’aumentare della base ‘decisionale’, rischia di produrre ingovernabilità. I social network hanno allargato a dismisura il bacino di popolazione che può ficcare ‘il naso’ negli affari della politica. Ovviamente la partecipazione dei cittadini non raggiunge le stanze del potere ma si ferma solo alla ‘fase di controllo’, possibile grazie al continuo flusso di feedback. Il problema, se proprio vogliamo cercarne uno, è che il flusso non è ‘mediato’. Prima, ma ancora oggi, l’opinione pubblica per interloquire con il potere doveva fare riferimento alla stampa e alla televisione, che funzionano dunque come strumento di cernita. Il processo, se fatto con tutti i crismi, garantisce equilibrio. Adesso, con l’esplosione dei social media e dei social network, tale equilibrio rischia di venire meno. Il giusto flusso di feedback ‘pro-controllo’ rischia di trasformarsi in una marea inarrestabile di ‘no’, disorganizzata e poco costruttiva. Che è poi quanto lamentato da Michael Bloomberg.
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